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Discesa nel mondo espanso


Data: 15/11/2010

Eccoci qui, chi per curiosità, chi per spirito d'avventura, persino qualcuno spinto dal collega di lavoro, tutti comunque convinti e in attesa.
Ma chi sono questi tutti? Sono, anzi siamo, i corsisti del corso di speleologia del 2010; a vederlo da fuori è un gruppo vario ed eterogeneo, ci sono donne, uomini, operai, professionisti, un po' di tutto insomma, una sola cosa ci accomuna veramente, l'attesa di scoprire qualcosa di nuovo, una sorta di ricerca di un nuovo mondo.
Da qui sorge un altra domanda, ma cos'è veramente questo mondo nuovo? Intanto per iniziare di nuovo ha ben poco, “le grotte sono li da millenni”, parafrasando una vecchia battuta di Paolo Villaggio, siamo noi i veri nuovi ospiti di questo mondo antico e pressoché immutabile se paragonato a quello che c'è all'esterno.
Se potessimo leggere nella mente di tutti ci accorgeremmo che la grotta è un pensiero nebuloso, privo di elementi comuni, tutti se la immaginano tendenzialmente orizzontale, con grosse stalattiti, male illuminata e magari popolata da orde di pipistrelli, ma per il resto c'è un buio totale.
Cosa c'è di vero in questi pensieri?
Quasi nulla, la definizione del vocabolario della parola “grotta” è: “una cavità sotterranea con uno sviluppo in lunghezza maggiore di quello in ampiezza” in effetti è una definizione veritiera, ma estremamente vaga, si potrebbe applicare a quasi qualsiasi buco che si trova sul terreno, ma allora che cosa è una grotta?
La grotta è un mondo diverso, un mondo in cui la percezione si muove su strade aliene, sembra quasi che i sensi vengano in qualche modo alterati dalla roccia stessa che ci circonda, tutto sembra in qualche maniera differente, è un po' come la discesa di alice nel paese delle meraviglie, nulla di quello che fuori era ordinario dentro lo è più.
Per tentare di spiegare un po' quello che intendo posso dire che quando noi ci siamo calati nella nostra prima grotta, con calati intendo discesi in un buco sul terreno, una sorta di tombino che solo pochi giorni prima non avemmo degnato nemmeno di uno sguardo, ci siamo immersi in una sorta di nuova dimensione.
Artur C. Clarke faceva provare al suo personaggio David Bowman, l'astronauta di Odissea nello spazio un esperienza di alterazione del tempo durante un viaggio in una sorta di wormhole, ma Bowman in quel caso vedeva le lancette dell'orologio fermarsi e scorrere all'indietro, noi naturalmente non siamo arrivati a tanto, ma in quel mondo sotterraneo il tempo si muove più lentamente dentro le nostre vene, il nostro essere viene pervaso da una sorta di melassa invisibile che rallenta lo scorrere del tempo al nostro interno, un ora viene avvertita come mezzora, il concetto di mattinata, perde il senso che gli attribuiamo, diventa una sorta di concetto astratto, quasi alieno, in quella specie di dimensione immutabile che è la grotta.
Il nostro orologio interno rallenta, i secondi ci scorrono addosso senza nessun effetto come le gocce di pioggia su un gargoil di pietra, per alcuni nemmeno la fame riesce a scandire il passare della quarta dimensione, il tempo appunto.
In definitiva in grotta il tempo è espanso, quasi rarefatto come l'aria in alta quota.
Ma se il tempo è espanso, che ne è dello spazio? Einstein diceva che lo spazio e il tempo sono strettamente correlati, forse per le nostre menti è proprio così, infatti in grotta lo spazio è anch'esso espanso, dieci metri ad esempio sono lunghi ancora dieci metri, ma il significato che noi gli attribuiamo è diverso, all'esterno sono pari alla distanza che c'è fra il frigo con la birra e il nostro letto, ma in grotta?
In un meandro se una persona è a dieci metri da noi spesso non è nemmeno consapevole della nostra presenza è come essere su due universi differenti, adiacenti ma non collegati, in una parola, due universi solitari.
Ad esempio, il primo pozzo della grotta Genziana è profondo 45 metri, in discesa sono 45 metri di ebrezza per alcuni e di paura per altri, 45 metri di corda che ci scorre davanti al naso scaldando il discensore come fosse ricoperta da una sorta di fuoco invisibile, ma in salita?
In salita sono 45 metri di fatica e di sudore, finché non si arriva in prossimità del soffitto del pozzo e in quel punto dopo un primo momento di sollievo ci si rende conto che si è al culmine di una cavità imponente e che sotto di noi c'è solo il nulla.
In definitiva 45 metri in verticale comunque li si faccia sono da noi percepiti come una grande distanza, una sorta di baratro che ci divide da quel che individuiamo come punto di arrivo.
Per fare un altro esempio chiarificatore, la prifondità della grotta Genziana è pari a circa 560 metri, una distanza che all'aperto sembra un inezia, una passeggiata da fare con i bambini, ma sotto? Sottoterra è una distanza che si percorre avendo a disposizione almeno 16 ore e un discreto allenamento, è la distanza che separa la terra dalla luna, non incolmabile, direbbe Amstrom, ma indubbiamente molto impegnativa.
In definitiva lo spazio sottoterra si espande ogni centimetro si allunga come un elastico teso allo spasimo senza mai spezzarsi veramente, per poi ritornare di colpo normale quando si esce allo scoperto.
Poi cosa c'è ancora di diverso? Tutto il resto direi, il buio è diverso, fuori il buio è una condizione di mancanza quasi totale di visibilità, dentro è una sorta di entità, un ameba che ti avvolge, che ti ingoia, tu senza luce sei sospeso in un universo di catrame quasi vivente dove tutto ciò che non puoi toccare semplicemente non esiste.
Anche l'udito subisce l'influsso di questo Dio sotterraneo, di questo novello Plutone, che è la grotta, quello che sta fuori deve rimanere fuori, questa è la regola inderogabile, solo chi è invitato può avere il permesso, o il privilegio se preferite, di entrare e gli unici ospiti invitati in grotta sono l'acqua e l'aria, i rumori invece rimangono fuori, come un parente scomodo che si preferisce ignorare.
Dentro in grotta i suoni esterni semplicemente non esistono, vi è solo il rumore dell'ospite più rumoroso, l'acqua, un continuo stillicidio o un sommesso scorrere per il resto vi è il nulla più assoluto, ognuno di noi trascina con se i propri rumori come una sorta Jacop Marley con le sue catene.
In definitiva la grotta modifica la nostra percezione del mondo esterno, o se preferite noi stessi nella grotta percepiamo il mondo esterno in un altra maniera, tutto diventa più espanso, tutto diventa diverso, anche noi diveniamo diversi in una sorta di metamorfosi che ci investe e ci distorce come un orologio su un quadro di Salvador Dalì.
Infatti anche quello che tutti riteniamo la cosa più sicura, la cosa più certa al mondo, nella grotta viene messa in qualche modo in discussione, nella grotta tutti siamo costretti a dimostrare la madre di tutte le nostre certezze, e cioè noi stessi.
Tutti quelli che entrano in grotta per la prima volta sono costretti a superare delle prove che noi stessi ci sottoponiamo, tutti dobbiamo superare degli ostacoli sia interni che esterni, c'è chi deve fare i conti con la paura del vuoto, chi invece con la paura del buio, altri infine con la paura di rimanere schiacciati o soffocati, insomma tutti devono confrontarsi con qualcosa di atavico che risiede dentro le nostre stesse anime.
In alcuni questa paura esplode nei primi metri di discesa, obbligando immediatamente la persona a fare una scelta fra il rimanere e continuare oppure lo scappare e abbandonare, in altri invece questa paura cresce lentamente come un incendio covante finché le sue fiamme non lambiscono le carni costringendo la persona ad affrontare la paura nel luogo e nel momento scelto dalla paura stessa.
Anche chi non subisce affatto l'influsso di queste paure antiche deve fare i conti con qualcosa, e quel qualcosa è il proprio corpo, questa macchina più o meno perfetta che passo dopo passo, accumula stanchezza deve in qualche modo essere riportata indietro, e man mano che si avanza ci si rende sempre più conto che il ritorno sarà doppiamente faticoso e che non ci saranno sconti di sorta.
Ma tutti noi abbiamo avuto un arma, da utilizzare come e quando ne avevamo bisogno, un arma all'apparenza innocua ma molto potente, e quest'arma è stata il gruppo stesso, infatti anche se tutti abbiamo dovuto affrontare l'ignoto, chi alla fine di una corda sospesa nel buio, chi fra le pareti strette di un cunicolo, sui bordi di un meandro scivoloso, o nella fatica che sentivamo bruciare nelle braccia, tutti in ogni istante potevamo attingere all'essenza emanata dal gruppo stesso.
A dispetto dei singoli che subivano gli attacchi di mostri ignoti interni od esterni che fossero, a volte vincendoli, a volte difendendosi e basta, il gruppo ha sempre emanato fiducia ed audacia, come una sorta di faro alimentato sia dall'entusiasmo dei nuovi, che dalla pacata sicurezza degli istruttori e perché no anche da quella piccola vena di follia che abbiamo un po' tutti.
Ora dopo questo lungo discorso una domanda è rimasta nell'aria come una sorta di presenza effimera ma avvertibile: Come è andata in definitiva?
Rispondendo per tutti dico: Molto bene, è stata un esperienza intensa e formativa, utilizzando una frase detta da una delle donne del gruppo “questo corso è la cosa più bella che sto facendo per me in questo momento”.
Tutti noi abbiamo affrontato e superato le nostre prove e rimaniamo in attesa delle prossime, certi che ogni discesa in una grotta avrà un po' il sapore della prima senza mai eguagliarlo del tutto.Umberto Pagotto

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