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Andiamo giù
Data: 15/11/2010
Per comprendere la bellezza della discesa in grotta non c'è altro da fare che andare giù.
Sembra una banalità ma è così.
Bisogna staccare i piedi dal bordo di un pozzo fino a sentire l'imbrago che preme sulla vita e sulle gambe con la corda che entra in tensione nel discensore emettendo un leggero cigolio.
Bisogna sentire le mani che si raffreddano nei guanti toccando le pareti in un passaggio stretto.
Bisogna respirare a pieni polmoni l'aria satura di umidità.
Bisogna osservare il proprio fiato disegnare vorticose nuvole di vapore passando davanti alla luce del casco durante una risalita.
Bisogna rivedere il cielo dopo molte ore di buio con l'impressione di aver vissuto per un po’ di tempo in un mondo sospeso tra il sogno e la realtà.
Bisogna sentire dentro di sé tutte queste cose, nessuna esclusa, perché il racconto, la descrizione o le foto lasciamo filtrare solo la minima parte delle sensazioni che si vivono quando "si è sotto".
Non è facile raccontare la speleologia, soprattutto per chi l’ha conosciuta da poco. Ci è stato detto che non è una pratica sportiva e forse, in una tale definizione che nega invece di spiegare, che lascia spazio a diverse interpretazioni, è racchiuso il significato profondo di questa attività.
Sopra, dove c’è il sole, la montagna ormai è vinta, calpestata da un esercito di scarponi poco rispettosi, sottomessa alla tecnica e alla prestanza fisica, spesso umiliata dalla presunzione di alpinisti impegnati a misurarsi più con la capacità di chi "arriva prima" che con il piacere di mettere “le mani sulla roccia”.
Nel mondo ipogeo, invece, sembra non esserci quasi nulla di tutto questo. Nessun primato da conquistare o da superare perché solo una piccola parte di esso è stato scoperto. La tecnica di progressione si è evoluta, ma per attraversarlo, per rapportarsi con lui, si esige il contatto continuo e costante con gli elementi di cui è fatta la montagna: l'acqua, il fango e la roccia. Una fisicità da cui non si può prescindere se si vuole andare avanti e questo non fa che amplificare l'impagabile sensazione di essere pionieri in cerca di un nuovo mondo.
Un'avventura in grotta comincia sempre con una discesa. Anche la preparazione di questo semplice gesto, compiuta con misurata e scrupolosa ritualità – mettere la tuta, infilare l’imbrago, controllare maniglia, croll, discensore, verificare la chiusura di moschettoni e maillon – allontana l'idea di conquista lasciando spazio al più naturale sentimento di stupore legato all'umano piacere della scoperta.
La speleologia va praticata con paziente attenzione, non richiede fretta, scandisce i suoi ritmi con un orologio che non appartiene a nessun altra disciplina. In grotta non c’è il sole a segnare il trascorrere delle ore, ma soltanto la voglia di andare avanti, finché le forze lo consentono. Molte discese raccontano di rinunce per “sopravvenuta stanchezza”, quasi mai per mancanza di tempo. Non dare un orario per il rientro a chi aspetta a casa è una delle prime regole che abbiamo imparato.
Tutto questo rende la speleologia un'attività unica, ancora capace di pretendere da chi la pratica la consapevolezza dell'umiltà, del senso del limite e, perché no, anche della paura, restituendo molto più che nell'alpinismo la sensazione di essere non protagonisti, ma spettatori privilegiati dello straordinario racconto scritto dalla Terra.
Il corso speleo non insegna tutto questo ma offre a chi lo frequenta l'opportunità di scoprirlo pian piano, discesa dopo discesa.
Siamo arrivati alla fine.
Per qualcuno sarà stata una bella esperienza da mettere nell'archivio delle cose fatte. Per qualcun altro è senz'altro l'inizio di uno splendido viaggio.
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